[…]Viviamo attualmente in un contesto storico particolare, di passaggio epocale da un'educazione normativa basata su regole e metodi chiari, precisi, condivisi socialmente a un'educazione affettiva, centrata sulla relazione interpersonale. Come in ogni periodo di passaggio si vivono tutte le difficoltà di non avere un "archivio storico" di metodi didattico-educativi adeguati alla complessità degli ambienti educativi; una complessità che è soprattutto inadeguatezza, incapacità di accettare l'ansia, il dolore, la fatica del cambiamento e gli sbagli a esso connessi.
Ancora di più in questo contesto non sono efficaci modelli educativi precostituiti e "ricette" pronte per l'uso, non esiste un modo di comportarsi più o meno unico, più o meno adeguato, più o meno condiviso, ma esistono metodi differenti a seconda del caso, del contesto, della situazione ed ipotesi di strategie da verificare e su cui riflettere per migliorare la propria efficacia educativa.
Essere educatori in questa fase di transizione significa attivare processi di rielaborazione dei modelli educativi ricevuti, verso modalità creative e costruttive di apprendimento.
In questo quadro la proposta formativa del WWF si caratterizza grazie ad alcuni punti forti che costituiscono la fisionomia degli interventi: da notare che questi punti non devono costituire una ricetta rigida, quanto piuttosto una trama che viene arricchita dalle soggettività degli operatori.
Una caratteristica del metodo, che ne determina la flessibilità, è l'ascolto degli elementi di contesto: il progetto educativo è fortemente condizionato infatti dalla situazione, dagli elementi del progetto, dalle caratteristiche del gruppo che usufruisce dell’intervento, eccetera.
L’educazione ambientale non è un contenuto, richiede di cambiare i modi non i temi. Modi che devono essere coerenti con gli obiettivi, per questo è importante quello che potremmo definire insegnamento implicito.
E' fondamentale progettare percorsi che si colleghino con il contesto di vita degli utenti per permettere l’approfondimento e la verifica di quanto appreso, la percezione dell’appartenenza a un sistema complesso e la conseguente importanza delle sue azioni.
Tra gli elementi che entrano in gioco nell’insegnamento implicito, trattando di ambiente, c'è lo spazio fisico in cui si interviene che incide facilitando il messaggio e/o condizionando le metodologie. Per esempio nelle attività residenziali un luogo bello dal punto di vista naturale e paesaggistico nel quale vivere l’esperienza ci manda messaggi continui molto più incisivi delle parole e delle dichiarazioni, che rinforzano e facilitano ciò che si vuole trasmettere. Far emergere in un contesto urbano, tra il cemento, che la natura è bella, è armoniosa, racchiude mondi misteriosi e intelligenti, dà pace ecc…ecc… è senz’altro meno efficace che dichiararlo essendo immersi in un luogo nel quale la natura ad ogni passo ci comunica la sua bellezza, la sua armonia, il suo mistero. Altrettanto importante è in altri contesti valorizzare l'ambiente di vita delle persone, ad esempio parlando della città in città, della sua storia, delle tracce lasciate dal tempo, di modalità diverse di vivere i suoi spazi, di stili di vita più sobri, di luoghi antropizzati che poggiano "leggermente" sulle preesitenze naturali (suolo, acque, vegetazione, fauna locale, ecc.), ci aiuterebbe a riscoprire, almeno per le sue potenzialità nascoste, lo spazio in cui viviamo.
L’evidenza e la forza del contesto rinforzano le parole, che divengono sempre più strumento di approfondimento e non più solo di esortazione a guardare e a fare.
Privilegiare il rapporto diretto con la realtà proponendo esperienze che stimolino domande e ricerche e fornire informazioni qualificate (non fornire solo risposte ma attivare un percorso di ricerca) per trovare diverse soluzioni alternative: quella che comunemente in didattica viene definita lezione frontale non viene quasi mai usata come modalità di insegnamento. La programmazione stessa delle attività educative si traduce in quest'ottica nella predisposizione di un ambiente, di un contesto facilitante ("sfondo").
L’osservazione è lo strumento fondamentale che viene utilizzato per fare formazione. Non si tratta solo dell’osservazione scientifica e sistematica ma più globalmente di un atteggiamento, della capacità di saper cogliere particolari e piccoli segnali per “capire” il luogo e le relative “presenze”.
I ritmi della quotidianità urbana, la povertà o l’eccesso di stimoli disabituano tutti noi a soffermarci su ciò che ci circonda. Uno degli obiettivi principali dell’educazione ambientale è proprio quello di imparare di nuovo a guardare, a cogliere particolari, a trovare connessioni tra più elementi, a riscoprire armoni nascoste o talmente evidenti che non ci accorgiamo più della loro presenza.
L’approccio alla natura, la conoscenza dell’ambiente, avvengono con una modalità che ormai è patrimonio dell’esperienza WWF nel campo della formazione. Tale metodologia propone, come primo approccio all’ambiente, la conoscenza attraverso i cinque sensi. Vengono proposti giochi ed esercitazioni che concentrano l'attenzione sulla percezione e valorizzano l'uso dei sensi.
Si concentra l'attenzione sui “rapporti con” (noi stessi, le persone, gli oggetti, i fenomeni), più che sugli stessi come staccati da noi. Si cerca di costruire proposte in cui l’ambiente diventi oggetto di piacere e di conoscenza, anche di se stessi e del gruppo, valorizzando l'individua come soggetto di conoscenza e di autocoscienza.
Il metodo mette al centro del progetto la persona (bambino, adolescente, adulto) con i suoi tempi e i suoi spazi, facendo attenzione al suo benessere.
La strategia di apprendimento si ispira alla maieutica socratica, intesa come metodo di ricerca che promuove l'acquisizione della conoscenza attraverso il dialogo. L’operatore del WWF, durante i percorsi naturalistici pone al gruppo continue domande che inducono sia all’osservazione sia ad attingere alle conoscenze che già si posseggono. Quando ciò non è possibile, e la deduzione presuppone nuova conoscenza, interviene l’operatore con informazioni chiarificanti. Altre volte le difficoltà incontrate nel trovare una risposta stimolano approfondimenti e ricerche che possono essere soddisfatti da libri e materiali.
Lo scrittore Peter Hoeg nel suo libro "I Quasi adatti" sottolinea: "…Forse al mondo ci sono solo due tipi di domande. Quelle che fanno a scuola, dove la risposta è nota in anticipo, domande che non vengono poste per saperne di più, ma per altri motivi. E poi le altre, quelle del laboratorio. Dove non si conoscono le risposte e spesso nemmeno la domanda, prima di porla…..". La qualità delle domande determina la qualità dell'apprendimento, in tale senso, uno spazio in cui è possibile porsi domande legittime, esplorare, errare per imparare dagli errori, confrontare esperienze e saperi, può diventare un'opportunità per il cambiamento e la crescita personale.
Nel caso di attività che prevedono la residenzialità, la condivisione di spazi, cibo e sonno, crea un clima affettivo nel quale i rapporti crescono e si consolidano sia nel gruppo che tra il gruppo ed i conduttori. L’affettività nel gruppo permette sempre di più di mettersi in gioco e di esprimersi, quella nei riguardi dei conduttori aumenta la fiducia nell’accettare consegne e proposte.
La residenzialità può rendere anche più forte il vivere esperienze di quotidianità diversa dove essenzialità, cura e confortevolezza vengano cercate insieme.
La coerenza tra il dichiarato e le proposte concrete è sempre fondamentale in educazione. Poiché l’oggetto dell’educazione ambientale è anche la qualità della vita quotidiana[1] ne deriva che, in un intervento di educazione ambientale, si ha l’occasione di far vivere agli utenti una quotidianità diversa da quella che in genere si vive nel contesto urbano.
Viene usata una metodologia che valorizzi il “rispetto” a tutti i livelli, a partire dal rapporto interpersonale, promuovendo la cooperazione.
Si cerca di sfrondare il rapporto dei ragazzi con l’ambiente di tutti gli stereotipi e gli atteggiamenti improntati a mode.
Promuovere il gioco/momenti di creatività come metodo di lavoro libero, disimpegno che arricchisce la ricerca privilegiando l’immaginazione, livello di disattenzione che è attenzione ad altro e permette nuovi punti di vista e nuove soluzioni. La didattica ludica è una risorsa per tutto l’insegnamento, la sua applicazione all’educazione ambientale, sembra quindi particolarmente ricca di opportunità. E il gioco non è solo un modo per imparare divertendosi, risultato che sarebbe di per sé sufficiente, ma è anche uno strumento per capire che si può raggiungere insieme uno scopo, impegnarsi per farlo, e che per ottenerlo però bisogna seguire un sistema di regole, e rispettare il proprio ruolo, il proprio turno…. Costituendo così una metafora stessa dei concetti che vogliamo siano acquisiti. Ed è importante non soltanto far giocare, ma anche far costruire giochi, farne inventare, per consentire di confrontarsi, attraverso la simulazione, con i problemi reali, di responsabilizzarsi perché i comportamenti, le consapevolezze che si vogliono acquisire, siano trasmessi agli altri cui si sottoporrà il gioco.
La metodologia comporta l’alternanza di attività pratiche (giochi, esercitazioni, percorsi) a momenti di riflessione e verbalizzazione in gruppo. Ciò permette di comunicare agli altri sia emozioni e sentimenti provati che nuove conoscenze e scoperte. Ne deriva così la crescita di tutti attraverso l’esperienza di ciascuno.
Promuovere un’efficace Educazione Ambientale coincide in buona parte con la ricerca di contesti educativi all’interno dei quali ciascuno possa sviluppare «autonomia», possa decidere, cioè, sulla base di regole e processi interiori coscienti, quali azioni intraprendere nei diversi tipi di situazione ambientale in cui si trova ad operare.
Per favorire la costruzione dell'autonomia è importante dare dei ruoli di partecipazione agli utenti, impegnarli in un costante, profondo ed efficace «controllo di senso» dei processi di apprendimento, volto a chiedersi: perché sto facendo questo? Perché in questo modo? Quale significato ha per me e per noi? Ovvero a rendere protagonista ciascun soggetto partecipante al processo. Promuovere la partecipazione, cioè costruire progetti che prevedano parti di intervento diretto per tutte le categorie sociali a quei momenti di pianificazione e lavoro che toccano direttamente la loro vita quotidiana. Proporre esperienze di attivismo e partecipazione può facilitare lo sviluppo di una coscienza di avere un ruolo nella realtà sociale e far conoscere le istituzioni e gli strumenti partecipativi, come individuo e come gruppo di opinione.
Promuovere l’azione diretta, intraprendere azioni e processi concreti, conoscere sul campo sporcandosi le mani ma anche agire in prima persona per trovare le soluzioni: non delegare ma prendersi cura di ciò che si ama.
Uno degli obiettivi di ciascun percorso educativo del WWF è quello di favorire le condizioni in cui bambini, ragazzi, insegnanti ed educatore, si riconoscano vicendevolmente come partner di un’impresa comune. Un tratto metodologico fondamentale che risponde a tale esigenza è il contratto didattico. Per contratto didattico si intende uno spazio di lavoro apposito che ha la funzione di esplicitare e di rendere condivisi: gli scopi del percorso educativo ed i ruoli di ciascun partecipante; i vincoli e le possibilità date dallo spazio classe e dalle uscite in natura; le modalità di lavoro quali le: tipologie di attività e di situazioni educative, i tempi ed i luoghi (il programma); le aspettative di ciascuno per chiarire quali di esse legittimamente potranno trovare spazio durante gli interventi educativi.
Recuperare le storie dei bambini, della propria famiglia, della propria educazione, rievocare i grandi eventi che hanno caratterizzato il secolo appena terminato attraverso le microstorie, diventa sempre di più una necessità per comprendere il presente e costruire il futuro. Si tratta di una metodologia che si prefigge di risvegliare il desiderio di apprendere a partire dall'indagine retrospettiva di quello che si è già vissuto (visto, ascoltato, sentito, inventato, prodotto, sofferto, ) nel corso del proprio "tempo, lungo e breve che sia.
Strutturare situazioni, giochi ed esercitazioni in ambiente attraverso i quali i fruitori possano in prima persona sperimentare, non necessariamente in questa sequenza, vari livelli di un percorso: il contatto sensoriale e fisico con un ambiente (livello di ascolto); la costruzione di un rapporto emotivo ed affettivo con il territorio (livello di curiosità); il desiderio e la curiosità di conoscerlo meglio (livello di indagine); il mutamento di atteggiamento, che diviene “corretto e rispettoso”, nei riguardi dell’ambiente (livello di responsabilità); lo sviluppo di un’attitudine trasformativa (livello estetico e politico); il conferimento di senso e il recupero dell’immaginario e del “sacro” (livello simbolico).
[1] Le strutture utilizzate è utile che siano essenziali ma non per questo poco confortevoli. Spesso senza televisori, videogiochi, orpelli ma con grandi tavoli di legno intorno ai quali mangiare e chiacchierare. Le camere sono semplici ma “calde” poiché nell’arredamento vengono utilizzati solo materiali naturali. Il cibo è appetitoso, in cucina si utilizzano solo prodotti locali, si tralascia ciò che è superfluo e dannoso. Gli ospiti sperimentano in prima persona quanto sia bello non avere sempre il sottofondo di radio, TV, stereo provando a “riempire le serate” solo di chiacchiere, canti, giochi, letture, scoprendo che si vive benissimo anche senza videogames e che la semplicità dà spazio ai rapporti interpersonali.