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Parla come mangi... a cura di Giorgio Braschi

mercoledì 10 luglio 2013

Ricevo questo invito rivolto agli stakeholder del Progetto Life Governance MAKING GOOD NATURA.

Visto che mi è stato inviato suppongo di essere anch'io, a mia insaputa, uno stakeholder del Pollino, altrimenti perché avrebbero dovuto invitarmi?
Il fatto è che non solo non so di essere uno stakeholder, ma, e scusate la mia ignoranza, non so nemmeno cosa sia uno "stakeholder"!

Così pieno di curiosità per questo mio ruolo sconosciuto, prendo il Collins Giunti e vado a cercare il vocabolo e non lo trovo, evidentemente è composto dalle voci stake e holder unite; allora li cerco separatamente:
stakepalo oppure bastoncino, puntata, interesse;
holderpossessore, proprietario, affittuario, titolare o anche contenitore...

Escludo a priori puntate e interessi che mi sembra non c'entrino niente con il territorio e i SIC ma comunque non capisco, perché non mi sembra di essere proprietario, ne' tantomeno contenitore, di pali o bastoncini, o forse per estensione si riferiscono a proprietari di tronchi, alberi, quindi boschi?
Ma sarebbe bastato scriverlo semplicemente, quindi non sarà così.

Consulto allora il Garzanti - Edizione per docenti e anche qui non trovo la voce stakeholder ma alle voci stake e holder trovo:
stakepalo, piolo, picchetto, paletto, scommessa, puntata, posta, ma anche, come verbo, sostenere con pali, reclamare, rivendicare, scommettere, rischiare, giocare;
holder: come nel Collins possessore, proprietario, titolare ma qui anche sostenitenitore (di idee ecc.).
Mi si confondono ancora di più le idee... sostenitore di paletti, possessore di picchetti, forse, sempre per estensione inteso come picchetti che delimitano una proprietà e quindi proprietario terriero?
Ma se fosse così semplice non bastava scrivere proprietari terrieri? Evidentemente c'è dell'altro che a noi comuni mortali sfugge...

Mi stavo arrendendo, quando un amico che nel frattempo mi è venuto a trovare, mi fa notare che con la mia mentalità ancora un po' arcaica e ruspante, avevo consultato soltanto documentazione cartacea dimenticando le formidabili potenzialità universali e immediate del web... tempo un minuto, "stakeholder" sul motore di ricerca e in dieci secondi la risposta:

Normalmente è definito come portatore di interessi: il concetto di stakeholder è stato teorizzato per la prima volta dallo Stanford Research Institute nel 1963 per indicare tutti coloro che hanno un interesse nell’attività aziendale (da stake che significa posta, scommessa ed holder portatore) e senza il cui appoggio un’organizzazione non è in grado di sopravvivere. Il termine, comunque, è ormai di uso comune, si lega al concetto di portatori di interessi e non solo di diritti e si contrappone all’espressione shareholder, che identifica il possessore delle azioni, vale a dire il portatore di interessi e diritti economici precisi.

Siccome non riesco a capire che cosa c'entri l'attività aziendale, vado sul sito ufficiale del Progetto 


e cerco delucidazioni senza trovarle (ma trovo almeno una ottima definizione di servizi ecosistemici). Torno quindi su stakeholder per cercare di approfondire e leggo:
Nel 1963, lo Stanfort Research Institute ha formulato il concetto di Stakeholder per indicare tutti coloro che hanno un interesse nell’attività di un’azienda e senza il cui appoggio un’organizzazione non è in grado di sopravvivere, includendo anche i gruppi non legati da un rapporto economico con l’impresa.
La definizione attualmente più utilizzata è quella di Freeman (1984) che:
“Gli Stakeholder primari, ovvero gli Stakeholder in senso stretto, sono tutti quegli individui e gruppi ben identificabili da cui l’impresa dipende per la sua sopravvivenza: azionisti, dipendenti, clienti, fornitori, e agenzie governative. In senso più ampio Stakeholder è ogni individuo ben identificabile che può influenzare o essere influenzato dall’attività dell’organizzazione in termini di prodotti, politiche e processi lavorativi. In questo più ampio significato, gruppi d’interesse pubblico, movimenti di protesta, comunità locali, enti di governo, associazioni imprenditoriali, concorrenti, sindacati e la stampa, sono tutti da considerare Stakeholder”.
> Gli Stakeholders sono quindi tutti quegli individui o gruppi che possono influenzare il successo di un’impresa o che hanno interessi nelle decisioni dell’impresa.
> Recentemente (Clarkson, 1995), il concetto di Stakeholder è stato esteso anche a tutti quei soggetti portatori di interessi potenziali per un’azienda, cioè persone o gruppi che hanno pretese, titoli di proprietà, diritti, o interessi, relativi ad un’impresa ed alle sue attività.
Esistono due differenti tipi di Stakeholders (Clarkson):
- Gli Stakeholders primari sono quelli senza la cui continua partecipazione l’impresa non può sopravvivere come complesso funzionante; tipicamente gli azionisti, gli investitori, i dipendenti, i clienti e i fornitori, ma anche i governi e le comunità che forniscono le infrastrutture, i mercati, le leggi e i regolamenti.
- Gli Stakeholders secondari comprendono coloro che non sono essenziali per la sopravvivenza di un’azienda o che esercitano un’influenza diretta sull’impresa stessa; sono compresi quindi individui e gruppi che, pur non avendo rapporti diretti con essa sono comunque influenzati dalle sue attività, come per esempio le generazioni future.
Oh Dio!... allora esistono pure diversi tipi di stakeholders differenti. Devo approfondire per capire a quale tipo appartengo... continuo la consultazione:

Diverse categorie di stakeholder (Mitchell, Agle, Wood 1997)
L’identificazione e la rilevanza degli stakeholders è basata sul possesso da parte di questi ultimi di uno o più dei tre attributi relazionali:
> 1. Potere
> 2. Legittimità
> 3. Urgenza

> Ma come faccio a sapere se ho potere? E su cosa? E chi mi assicura la legittimità? E che livello di urgenza ho, e per cosa? Vediamo più avanti:

Esistono anche definizioni ristrette che cercano di definire i gruppi rilevanti in termini di rilevanza diretta per gli interessi economici essenziali dell’azienda.
• Ad esempio, diversi studiosi definiscono gli STK in termini di necessità per la sopravvivenza dell’impresa (Bowie 1988, Naesi 1995).
• Altri restringono il campo nei termini delle aspettative morali affermando che l’essenza dello STK management dovrebbe consistere nella partecipazione dell’impresa nel creare e sostenere relazioni morali (Freeman 1994).
Le definizioni ristrette cercano quindi una base, un nucleo rilevante sulla base del quale definire la legittimità di aspettativa di certi gruppi come STK che può quindi, come abbiamo visto, essere basata sul contratto, sullo scambio, sul diritto morale ecc.
Le classi di stakeholder
> Stk dormiente
> Stk dominante
> Stk discrezionale
> Stk pericoloso
> Stk impegnativo
> Stk definitivo
> Stk dipendente

Povero me, anziché chiarirsi l'argomento diviene sempre più complesso! Vista l'ora e il sonno che mi sta venendo vado a vedere la definizione di STK dormiente, quello a cui mi sento più vicino in questo momento:

• Stk dormienti: possono diventare rilevanti se cercano di esercitare il loro potere 
(es. dipendenti licenziati diventano dormienti, ma possono fare scioperi 
o dichiarazioni alla radio e non sono più “dormienti”).

E già, comodo che i licenziati diventino "dormienti", ma poi se fanno scioperi o dichiarazioni alla radio magari vengono definiti "pericolosi"...

• Stk pericolosi (potere e urgenza): Es. atti di terrorismo vs certe imprese. 
Sono stk che percepiscono certe urgenze, non sono legittimati all’interno della collettività, ma usano il potere (ad esempio coercitivo) contro l’azienda per far valere le loro aspettative.

Ma qui sono io che ora rischio di diventare STK pericoloso, STK non lo so ancora, perchè dopo due ore di ricerche ancora non ho capito a che titolo lo posso essere, ma pericoloso questo sicuramente sì, perché mi sono proprio stancato e stufato di tutta questa perdita di tempo... ma dico, non si può essere un po' più semplici e chiari in comunicati e inviti per i comuni mortali?

Quanta saggezza nel vecchio detto popolare ... parla come che te magni, dài...

Un caro saluto a tutti

Giorgio




P.S. per chi volesse approfondire:






Un sociologo nel Pollino lucano degli anni ’50. Rileggere Banfield oggi - di Saverio De Marco

giovedì 4 luglio 2013



Le basi morali di una società arretrata è il libro del sociologo Edward C. Banfield ripubblicato da Il Mulino nel 2010. A parte le polemiche (non sempre fondate come si vedrà) che ha suscitato, va sicuramente riletto  per fare il punto sui problemi della società meridionale, sui cambiamenti avvenuti in cinquant’anni e sulla persistenza, dura a morire, di certe dinamiche sociali. E’ forse una delle poche ricerche sociologiche in senso stretto che siano state condotte nel Pollino (precisamente nel paese di Chiaromonte), opera ancora più rilevante se si pensa che il punto di vista è quello dell’osservatore esterno, un intellettuale americano degli anni ’50. In un paese che ha sempre sottovalutato la sociologia e la ricerca sociale, opere come questa sono preziose, a maggior ragione per la coscienza storico-sociale del Meridione.
 Il concetto di “familismo amorale” rimanda alla tesi secondo cui nel paese di Montegrano (nome di fantasia con cui l’autore parlava di Chiaromonte), l’unico interesse del singolo fosse rivolto verso gli interessi della propria famiglia piuttosto che al bene comune. Il termine, rimasto nella storia dopo la pubblicazione di questo libro, ha assunto quasi l’accezione di  un giudizio di valore sulla mentalità meridionale, dalla quale Banfield avrebbe dedotto la causa dell’arretratezza socioeconomica. Le cose sono in realtà un po’ più complesse: Banfield non si riferiva certo al giudizio, ma ad una condizione sociale che aveva origine in più fattori. L’intento di Banfield in realtà era quello di superare la spiegazione dell’arretratezza a partire unicamente da cause strutturali (in parole povere dalle condizioni sociali ed economiche di un’area), non di negare queste stesse cause. E’ da qui che dobbiamo partire per una comprensione corretta e complessiva dell’opera di Banfield. E’ lo stesso autore a sottolineare questo aspetto in più riprese: “il meccanismo che genera il familismo amorale è senza dubbio complesso, e consta di molti elementi che influiscono e si rafforzano a vicenda. La spaventosa miseria della zona e la degradazione di coloro che fanno lavoro manuale (…)hanno certo una grande importanza a questo proposito e costituiscono, per così dire, gli elementi strutturali nel sistema di cause. Ma se ora volgiamo la nostra attenzione verso altri elementi di tale sistema, ciò non vuol dire che sottovalutiamo l’importanza di questi primi due” (p. 151). “Il fatto che i montegranesi siano prigionieri del loro ethos centrato sulla famiglia – e che a causa di ciò non possano agire di concerto o per il bene comune – costituisce un ostacolo fondamentale al loro progresso economico, e al progresso in generale. Non mancano naturalmente altri ostacoli di enorme importanza, quali specialmente la povertà, l’ignoranza, e una struttura sociale che taglia fuori il contadino dalla società più vasta che lo circonda. Ora sarebbe assurdo ravvisare in uno solo degli elementi  la causa dell’arretratezza del paese: tutti questi elementi invece - e senza dubbio anche molti altri –  sono fra loro interdipendenti, e ciascuno è insieme causa ed effetto di tutti gli altri. Il punto di vista qui assunto è che a scopo di analisi e di intervento la base morale di una società può venire utilmente considerata come fattore strategico o condizionante” (p. 165). Lo stesso Banfield aveva coscienza dei condizionamenti strutturali della famiglia nucleare di Montegrano, una famiglia legata alla precarietà della piccola proprietà privata  e che non consente nemmeno forme solidaristiche tipiche di paesi in cui vige il latifondo e sono presenti le associazioni e mobilitazioni bracciantili (Banfield parla di Basso, che dovrebbe corrispondere molto probabilmente al paese di Senise). Banfield mostra efficacemente la necessaria flessibilità di una lettura di classe della società. Nel paese di Montegrano i rapporti di classe sono duttili e non si prestano a facili dicotomie: “nonostante tutto i rapporti di classe a Montegrano sono migliori della media italiana. Una ragione si può trovare nel fatto che nel corso delle ultime generazioni la terra non è rimasta monopolio delle classi abbienti. Il barone  possiede parecchi campi, ma tutti dati a mezzadria.  Nessuno degli altri ‘proprietari terrieri’ possiede più di pochi acri di terra coltivata – in nessun caso più di quanto ne posseggono i contadini più agiati (…) a Montegrano non esistono  organizzazioni sindacali perché non ci sono grossi datori di lavoro, ma a parte questo, è l’atmosfera che è diversa. I signori parlano con i contadini quando li incontrano e magari giocano con loro a carte nell’osteria” (p. 98).
Ciò che sorprende di questo libro e che sembra avvalorare per certi versi la tesi della persistenza di un ethos morale condizionante è la descrizione di atteggiamenti sociali che si ritrovano per certi versi anche oggi, nonostante il quadro di profondo mutamento che ha attraversato anche i paesi ricadenti nella tipologia di Montegrano.  Memorabile la descrizione degli atteggiamenti dei politici, del clientelismo cronico, dell’assenza di legalità, rientranti nel capitolo in cui Banfield elabora la sua “ipotesi predittiva” (“l’ipotesi è che i montegranesi agiscano come se seguissero questa regola generale: ‘massimizzare i vantaggi materiali e immediati della famiglia nucleare; supporre che tutti gli altri si comportino allo stesso modo’, p.101).
“ L’improvviso passaggio del segretario della sezione monarchica di Montegrano al Pci si verificò perché la sede del partito, da Napoli, non gli versava regolarmente lo stipendio. Quando egli divenne comunista, i monarchici vennero d un accordo: ed egli tornò alla posizione precedente come se nulla fosse avvenuto”(p. 118)
“La democrazia cristiana ha dato a Prato [un contadino] ogni anno poche giornate di lavoro, e perciò egli vota DC. Ma ritornerebbe ad essere monarchico se la democrazia cristiana non gli desse lavoro, e nessun altro partito offrisse un qualche vantaggio. Così, poiché si pensa che il sindaco Spomo abbia rapporti influenti con il ministero dell’agricoltura, si fa in modo che egli rimanga in carica, benché sia notoriamente disonesto,  e il suo fare sprezzante lo renda inviso. Ma se i consiglieri comunali Viva e Lasso sono in grado di ottenere di più di quanto non ottenga il sindaco, o lo ottengono più rapidamente, allora tutti si schierano contro il sindaco”(p. 115).
“Quanto alla legislazione sul minimo salario e sui contributi assistenziali dovuti dal datore di lavoro per il personale di servizio, essa è universalmente ignorata (…) Spesso, al lavoratore non conviene rivolgersi al maresciallo per la difesa dei suoi diritti; per lui è indispensabile essere in buoni rapporti con coloro che possono dare lavoro: è meglio sopportare la frode che essere privati di qualsiasi occasione di lavoro. E così i datori di lavoro hanno l’abitudine di pagare solo quando gli fa comodo. Al contadino può toccare di doversi recare un mese dopo l’altro, con il cappello in mano, a chiedere educatamente al ‘signore’ le mille lire di cui è creditore” (p. 108).
Nell’ultimo capitolo Banfield tentava di delineare delle proposte d’intervento, che si identificavano, oltre che con efficaci politiche amministrative, in un allargamento dei processi di partecipazione al bene comune e nell’implementazione di nuovi stimoli culturali. Ciò non significava, per il sociologo americano, che al familismo dovesse subentrare una sorta di idilliaco altruismo; per Banfield, anche l’individualismo, se indirizzato però a scopi benefici avrebbe sortito effetti positivi (“quando l’istruzione è un mezzo accessibile per superare il proprio vicino, il contadino lo desidera intensamente”). Altri strumenti educativi erano individuati da Banfield nella creazione di giornali locali indipendenti ,che avrebbero invogliato alla lettura e all’interessamento verso la cosa pubblica. Un ruolo possibile nella prospettiva dello sviluppo di attività comunitarie e cooperativistiche  (ad esempio Banfield parlava della creazione di una squadra di calcio) veniva dato (a torto o aragione) alla piccola e media borghesia locale, considerando il suo buon livello di istruzione. Il familismo amorale, doveva essere per Banfield modificato in almeno tre aspetti:
“1. L’individuo deve definire il proprio interesse, o l’interesse della sua famiglia, in termini meno ristretti di quanto non comporti il suo vantaggio materiale immediato (…)
2. Almeno un ristretto numero di persone deve avere la capacità morale di agire in qualità di leader (…) [che] debbono essere in grado di svolgere in modo responsabile ruoli organizzativi e creare ed ispirare il morale all’interno dell’organizzazione. (…)
3. Il corpo elettorale e in generale il ‘pubblico’ non debbono distruggere l’organizzazione gratuitamente o per dispetto o invidia: essi debbono cioè essere disposti  a tollerarla quando essa non interferisce con i loro affari” (pp. 168-169). La conclusione di Banfield sulla possibilità del riscatto era comunque pessimistica. A distanza di sessanta anni i nodi irrisolti di quella che Gramsci chiamò questione meridionale permangono. Sono mutati i problemi, ma ancora oggi la ricerca sociale potrebbe dare il suo contributo a fare il punto su certi nodi problematici e a proporre soluzioni possibili.
Saverio De Marco
(Dottore in Sociologia)
 

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