Il calzolaio (E. De Luca)
venerdì 28 settembre 2012
Un calzolaio è tenuto a fare bene le scarpe, questo è il suo compito istituzionale. Se poi vuole darsi un supplemento di responsabilità civile, allora deve stargli a cuore la buona causa di dare libertà di scarpa e di cammino a tutti, di più a chi ne è privo.
Lo stesso uno scrittore: è tenuto a scrivere bene le sue storie e se ha fatto questo in buona coscienza,ha meritato il rango e lo stipendio. Ma se ci tiene a darsi un impegno in più, allora gli spetta di promuovere la libertà di parola per chiunque, compresi i suoi avversari. Libertà di parola detta, scritta, letta, cantata: per tutti non solo per qualche collega ristretto da un regime.
In anni passati ho letto di qualche scrittore nostrano che esigeva il silenzio, l’ammutolimento civile per qualcuno a lui sgradito. Questo è rinnegamento puro dell’unico impegno e impiego utile di uno scrittore: garante del diritto di espressione di chiunque.
Al di fuori di questo ambito a me è capitato nella vita di servire qualche buona causa. Ho fatto parte dell’ultima generazione rivoluzionaria di Europa, ho fatto l’autista di convogli di aiuti nella guerra di Bosnia, sono stato a Belgrado nella primavera del ’99 a stare dalla parte del bersaglio degli attacchi aerei della Nato. Queste e altre simili sono state mie mosse di cittadinanza. La scrittura non
c’entra e se c’entra, segue come in una cordata su un ghiacciaio. A battere pista davanti ci pensa la vita.
Diffido di scrittori in politica. La lusinga di una tribuna ha rimbambito e deluso più di uno. Uno per tutti, perché lo preferivo, Leonardo Sciascia, finito a occupare da pedone un banco parlamentare. Se quello è impegno di scrittore, meglio niente. Infatti smise in fretta.
Perciò non vi so dire, donne e uomini affacciati sopra questo schermetto illuminato, in che consiste l’impegno civile di uno scrittore, uno che ha un piccolo diritto di ascolto. Un amico, poeta in Sarajevo negli anni 90, smaltì in città l’assedio, il più lungo del 1900. Rifiutò inviti all’estero presso illustri colleghi, istituzioni. Izet Sarajlic (nato nel 1930, morto nel 2002): coi suoi versi di amore tre generazioni bosniache avevano celebrato fidanzamenti e nozze. Chi è responsabile della festa, lo è pure del dolore. Così restò in città, nelle file per il pane, l’acqua, sotto la dissenteria di colpi dei cecchini e dell’artiglieria. Quello è stato il suo impegno: stare, condividere la malora del suo popolo. Non pubblicare appelli dall’estero, aggiungere una firma in calce a un manifesto: stare, verbo che a volte copre tutto il da farsi urgente. Stare coi suoi dentro Sarajevo, in quegli anni, come scrive lui: “Il più grande carcere d’Europa”.
È solo un esempio di responsabilità civile, io sono uno che scrive storie, cioè che racconta esempi, non so trarre, astrarre alcuna regola di comportamento. Non sono una persona impegnata, sono uno che qualche volta ha preso degli impegni. Non mi piace firmare appelli, petizioni e simili sciacquature di coscienza. Se posso, preferisco stare al pianoterra dove succede attrito tra idee e ordine pubblico. In quei posti, dalla Val di Susa a Termini Imerese, si lavora al pezzo di libertà da custodire, in minoranza contro l’usura della dote assegnata dalla costituzione. La libertà comporta
isolamento e rischio feriale, su piste remote e di periferia, non è una passeggiata al centro un fine settimana.
Aggiungo un esempio opposto a quello di Sarajlic: l’effetto letterario di un impegno civile. Quando la mia generazione politica cominciò a entrare in massa nelle prigioni contagiò la popolazione rinchiusa. Scoppiarono rivolte, che produssero poi la riforma carceraria. A volte i traguardi riformisti hanno bisogno di spinte rivoluzionarie. Effetto secondario dell’entrata dei militanti politici in prigione fu l’arrivo dei libri: prima non c’erano. Entrarono coi rivoluzionari e cambiarono il tempo e il luogo delle reclusioni. Fu rotta la privazione supplementare del diritto di leggere: in certi posti è diritto di accesso alla parola. Tra questi due esempi fa la spola il mio pensiero quando rispondo di letteratura e impegno. Non c’è linea prescritta, se c’è non la conosco. Credo nel tentativo giorno dietro giorno di scippare ai poteri costituiti dei pezzi di verità. Oggi compito per me urgente è di sapere quanti stranieri sono stati uccisi a Rosarno nella caccia all’uomo. Nessuno: dice
l’autorità. Il giornalismo attuale, senza spirito di inchiesta non sa e non può smentire la menzogna.
Torno al calzolaio: qui si tratta di fare un paio di scarpe buone alla verità scalza che non sa fare un passo.
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